Inebriati per troppo tempo dalla “finzione sociale” che ci voleva tutti belli, forti sani e vincenti, oggi si ha voglia di ritornare alla realtà delle cose, alle storie vere, ai conflitti che attraversano il nostro tempo e che non riusciamo più a vedere, a cogliere. Ed è un’arte che vuole sconfiggere e smascherare una “tirannia della normalità” che ci ha per troppo tempo dominati e costretti a nascondere le nostre debolezze, la nostra vulnerabilità, la nostra condizione di
malati, le nostre paure di non essere come la “normalità” ci chiede di essere. Ci ha impedito di essere “umani”. In questo processo il teatro riscopre il gusto dello spiazzare lo spettatore, “occasioni per far riflettere e pensare, occasione per aprire le teste e non addormentarle nel compiacimento di ciò che è solo rassicurante ripetizione. Consentire confronti tra mondi e linguaggi differenti”
(Ugo Morelli).